Per la mia generazione il Papa per antonomasia è Lui, “un uomo venuto da molto lontano” come canta il musicista Amedeo Minghi. La sua canzone l’ha dedicata proprio in Vaticano ad un uomo che ha rivoluzionato la storia mondiale. Avevo in mente di scrivere quest’articolo da tempo, alle prime luci di questa mattina, 23 novembre 2025, mi sento pronto a dare un minimo contributo ad una figura gigante del cristianesimo, del cattolicesimo, della Chiesa. Sotto certi aspetti una figura ingombrante, ma che durante il suo pontificato tante cose sono cambiate in meglio. I detrattori, perché in questo mondo terreno ce ne sono sempre, obietteranno che ha fatto poco per la pedofilia nel clero, per i cardinali corrotti, vedi la banca Ior dello Stato Pontificio, ma ciò che ha dovuto superare un uomo buono sino alle sofferenze fisiche, non abbandonando mai la croce, è qualcosa di veramente eccezionale. Il giovane Karol Vojtyla ha conosciuto la ferocia del nazismo, le camere a gas dello sterminio, ha visto morire tanti polacchi suoi connazionali, primo Paese ad essere invaso, pretestuosamente dal Terzo Reich, è il termine storico per indicare la Germania nazista, regime totalitario guidato da Adolf Hitler dal 1933 al 1945. Anni di terrore e di guerre continue in tutta l’Europa. Oggi i tedeschi, che hanno abbandonato la presunzione di razza Ariana, sono ad applaudire per sei minuti di fila Angela Merkel, che da presidente della nazione ha guidato un popolo di 80 milioni di abitanti, abitando nella stessa casa, non accettando alcun privilegio e come ha dichiarato in alcune interviste era lei in casa a separare la biancheria ed il marito ad avviare la lavatrice rigorosamente di sera. Sono concetti diversi che ci fanno spaziare in congetture ed analisi di epoche a confronto. Karol, ha vagato per i campi e poi a Cracovia ha scritto “poesie d’amore”, come canta ancora il concertista Minghi. Affascinato da una ragazza, resta ancora di più colpito dalla chiamata di Dio e veste l’abito talare. Su di Lui si sprecano le biografie scritte e non solo, sono tanti i documentari e film che raccontano la vita di chi è poi diventato Giovanni Paolo II. Ad avergli annunciato tutto ciò è stato padre Pio che ricevuto a San Giovanni Rotondo il cardinale, predisse ciò che poi si è verificato e Lui ha canonizzato il frate cappuccino da Papa. Sicuramente è una bella storia affascinante, ma in questo pezzo è opportuno mettere a fuoco come i bisignanesi si sentano legati a questa figura carismatica, perché anche l’umile fraticello dopo cinque secoli, Umile da Bisignano, è diventato santo grazie a questo Papa e noi eravamo lì, su quel sagrato di Piazza San Pietro a vivere un rarissimo momento di intensa spiritualità, di gioia e di gloria. Sono tante la foto che alcuni miei concittadini ogni tanto pubblicano assieme al nostro amico Karol. Amava la montagna e d’estate percorreva sentieri in Trentino ed era sempre Lui per primo a salutare la gente che incontrava meravigliata di trovarsi di fronte, casualmente, il Papa. Amava tanto la montagna che d’inverno sul Gran Sasso andava a sciare, non ha mai abbandonato la genuinità del ragazzo polacco che andava per i campi. Ha vissuto anche l’altra dittatura comunista sovietica, che invadeva l’Europa dell’Est creando il muro della vergogna, a dividere la grande Germania, e in due blocchi l’Europa. Ma fu Lui da Pontefice a creare le condizioni per far abbattere quel muro con le nude mani, dopo più di mezzo secolo, da chi voleva unificarsi. Ha stretto la mano a diversi capi di stato, per esempio Fidel Castro a Cuba, riuscendo sempre con i suoi interminabili viaggi a unire l’umanità. Ad ogni aeroporto in cui atterrava baciava la terra, quell’uomo aveva le stimmate del santo e l’ha dimostrato nei fatti. Ha indossato il sombrero come il copricapo indiano dei pellerossa, sempre fra gli ultimi ed è emblematica la foto che lo ritrae mano nella mano con madre Teresa di Calcutta, anche lei santificata da questo Papa. Era una figura ingombrante per i comunisti europei, e dalla Bulgaria parte la mano armata che lo ferì profondamente con uno sparo, i medici lo hanno salvato e Lui ha fatto visita in carcere al turco che aveva sparato assolvendolo dai peccati. Il suo pontificato non è stato tranquillo, eppure il giovane Karol non ha mai perso l’entusiasmo e la determinazione, in alcuni momenti i suoi interventi verbali sono stati molto forti. Ha visitato tutto il mondo, i giornalisti vaticanisti hanno potuto godere delle bellezze del creato e documentare come veniva accolto l’uomo venuto da molto lontano. Ha instituito un raduno epocale con i giovani di tutto il mondo e con loro intonava le canzoni, abbracciava e baciava i bambini, giocava con il suo mantello coprendoli, sono tanti i ricordi indimenticabili. A questo Papa ha fatto doni importanti l’orafo Michele Affidato da Crotone, uomo intelligente, preparato, artista ed artigiano creatore di unici gioielli, soprattutto uomo di profonda fede, infatti viene chiamato “l’orafo dei Papi”. I legami con la nostra Calabria sono tantissimi, anche la scomunica per chi esercita la criminalità organizzata, il Suo è stato un percorso divino che l’ha portato a venerare Maria, profondamente legato alla Madre di Gesù. Scrivo di questa figura di alto profilo religioso perché porto sempre con me una sua foto che lo ritrae sorridente e in piena forza, abbiamo vissuto tutti il suo attaccamento all’abito talare bianco, simbolo di purezza, innocenza e carità, proprio Lui che non desiderava questo ruolo ma che l’ha rispettato e assolto sino in fondo. Probabilmente Lui come tutti i Papi precedenti e futuri non sarà stato infallibile, guidare un esercito di fedeli con un forziere ben fornito dello Stato Vaticano sembra una incongruenza, ma quanti tesori vengono mostrati al mondo e quanti ne cela segretamente. Santo subito alla sua dipartita terrena, lo abbiamo gridato a squarcia gola tra le lagrime, la Sua morte è stata una tristezza infinita. Ci siamo sentiti tutti noi fedeli privati di quel Padre riconosciuto in Lui, ma non è così, dal Cielo ci guarda, a volte con sguardo di rimprovero ed altre volte con la tenerezza e la dolcezza che aveva acquisito sin da giovane. Lo porterò sempre nel cuore questo Papa Santo, il suo viso è quasi rassomigliante a quello di mio nonno. Mai mi priverò della foto che porto sempre con me, mi fa sentire più vicino a chi ho amato e oggi venero, a chi mi ha insegnato ad amare il prossimo in qualsiasi posto del mondo possa trovarsi. Nell’ottobre del 1984, 42 anni fa, la visita del Pontefice Giovanni Paolo II in Calabria. Cinque giorni intensi, momento più significativo il pellegrinaggio al santuario di San Francesco di Paola, il Papa celebrò una messa, recitò il rosario di fronte alle reliquie del santo e salutò la folla. In occasione dei 40 anni del Papa a Paola, nel 2024 il cardinale, Stanislaw Jan Dziwisz, Arcivescovo emerito di Cracovia, ha fatto giungere al Correttore provinciale dei Minimi, padre Francesco Trebisonda, un suo messaggio: “Ho ben vivo, pur a distanza di molti anni – ha scritto il Cardinale Dziwisz – il ricordo di quella visita. È difficile dimenticare anche uno solo dei pellegrinaggi di San Giovanni Paolo II, dal momento che i viaggi e le visite pastorali in ogni angolo del mondo sono stati elementi fondamentali di tutto il pontificato. Oltre al ricordo dei vari momenti della visita, vorrei richiamare in primo luogo il contesto generale in cui quel viaggio si svolse. Si trattava di un viaggio a carattere regionale, nel cuore di uno dei territori più importanti e significativi del Mezzogiorno d’Italia. Per cinque giorni, Giovanni Paolo II esplorò in lungo e in largo una terra bellissima, ma, come tutto il Sud del Paese, tormentata da molti problemi e soprattutto in alcune zone segnata da una vera e propria emergenza sociale. Il Papa voleva conoscere ed entrare a fondo nelle diverse realtà non solo ecclesiali della sua seconda patria, l’Italia, di cui era Primate. E partiva con una missione: portare speranza. Ho ancora oggi chiaro come in quel viaggio regionale, iniziato a Lamezia Terme e concluso a Reggio Calabria, la tappa di Paola, e principalmente il pellegrinaggio al Santuario Regionale di San Francesco, divenne il momento centrale di tutta la visita. Era naturalmente la prima volta che il Papa visitava quel luogo, ma sembrò subito, al primo impatto con la calda e festosa accoglienza di Paola, che Giovanni Paolo II fosse di casa in quel luogo e non vedesse l’ora di entrare nel tempio vivo, la Basilica di San Francesco, da cui, quasi misteriosamente, questa sintonia così immediata si sprigionava, C’era entusiasmo tra la folla in attesa, ma era facile avvertire, tra il Papa e la folla, il senso di una profonda sintonia spirituale. Francesco di Paola, l’eremita, l’uomo del radicalismo evangelico assoluto – si legge nel messaggio dell’Arcivescovo di Cracovia – era già nel cuore di Giovanni Paolo II, ma dopo quella visita il suo saluto ai frati minimi fu il ringraziamento alla Provvidenza per aver avuto la possibilità di incontrare più da vicino e respirare più a fondo la spiritualità di un Santi che “seppe penetrare nei cuori più e meglio di tanti dotti teologi. Paola fu il luogo dove sostò più tempo durante la visita dei cinque giorni in Calabria. E il suo commento, al riguardo, fu davvero significativo: “Adesso capisco, disse, perché l’episcopato calabrese mi ha messo qui, nel vostro convento: perché qui è la vera fortezza della Chiesa in Calabria. Fu in quelle occasioni che il Santo Padre manifestò in maniera ancora più aperta, e direi assoluta, la gioia di trovarsi in Calabria, ma principalmente nel luogo e nella terra di un santo come Francesco, un “piccolo”, anzi un “minimo”, come amò qualificare sé e i suoi figli ma che meritò di essere maestro dei grandi della terra, grazie alla luce che Dio riversava nella sua anima. Sentiva forte, il Santo Padre, l’affinità spirituale che da Paola si diffondeva in tutta “una regione bricca – come affermò nell’omelia della celebrazione per i religiosi e le religiose – di fondazioni monastiche e che ha dato alla Chiesa figure di santi quali San Saba, San Nilo, San Bruno e lo stesso San Francesco. Non posso dimenticare, conoscendo la spiritualità del Santo Padre e la sua attrazione verso i mistici, la densità e la bellezza di quell’omelia che mirabilmente orientava lo spirito di preghiera al servizio del progresso e del benessere anche sociale di una regione gravata da disagi economici ereditati dal passato. Un modo per dire alla gente di Calabria di porre le basi per diventare artefici del proprio futuro. Un discorso che riguardava in primo luogo i giovani. E ricordo che, al rientro da Cosenza, quando li trovò ad attenderlo in piazza, non esitò a fermarsi e a improvvisare il discorso che mise definitivamente al centro di tutta la visita, la tappa di Paola, la città del Santi che seppe stare alla corte dei “grandi” come nutrirsi del silenzio dell’eremo. Davanti a quella folla inattesa, il Santo Padre più che esprimere, confesso con le parole che uscivano dal cuore, senza nessun testo preparato, tutta la sua gioia per essere lì, non solo in Calabria, ma proprio a Paola, una terra in cui da secoli Francesco aveva lasciato un profumo di santità”. Ai miei carissimi lettori che mi seguono quotidianamente, che apprezzano più che gli articoli di cronaca questi di approfondimento, sicuramente non sarò stato esaustivo, ma ho impresso nella mente l’ex sindaco di Bisignano, Rosario D’Alessandro, che in ginocchio baciava la mano a questo Papa che senza mostrare le stimmate fisiche santifiche le aveva nel cuore e nell’anima e ci ha reso la grazia più grande, quella di aver santificato il Beato Umile da Bisignano, come eravamo abituati a chiamarlo, ed è bello ricordarlo a pochi giorni, al convento francescano dei Minori, si celebrerà l’accensione della lampada votiva per rivivere il pio transito dell’umile fraticello che ha fatto grande tutti noi elevandoci, assieme a lui, al cospetto di Dio.
Ermanno Arcuri
PS: questo articolo lo dedico a tutti i fedeli, principalmente a padre Francesco Mantoan, che mi onora e conforta con i suoi messaggi quotidiani, mattutini e pomeridiani, insegnandomi come diventare un buon cattolico.

